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Vice Presidente di Film Commission Torino Piemonte - Collaboratore in Staff Assessorato Attività Produttive, Commercio, Lavoro Città di Torino

La vera saggezza sta in colui che sa di non sapere

Nel corso del tempo il lavoro mi ha insegnato che sono infinite le cose che non sappiamo. Da lì, il mio impegno per l'informazione e la divulgazione è diventato "passione".


giovedì 1 novembre 2012

VERMER – LA LUCE DEI DETTAGLI





Sarà esposta alle Scuderie del Quirinale fino al 27 gennaio 2013 la mostra dedicata a Vermeer e ai maestri del secolo d’oro dell’arte olandese.

Ci sono mostre che restano impresse per l’esuberanza dell’artista, per l’effetto complessivo dell’allestimento, per il clamore della comunicazione o per le code interminabili al botteghino.
Ci sono mostre di cui non si riesce a dimenticare la sequenza studiata  di opere dedicate a un tema, o l’accanimento del confronto tra due grandi artisti appartenenti ad epoche tra loro lontane.
A me, sollevata dal compito gravoso del critico di recensire accuratamente una  mostra, è rimasta impressa una tela tra le decine appartenenti a Johannes Vermeer  e ai grandi fiamminghi, esposte alle Scuderie del Quirinale fino al 20 gennaio 2013.
Un paradosso, quello di concedersi il lusso di scegliere un’opera, tra una vasta scelta di capolavori.
Si tratta della folgorazione del visitatore impreparato che, pur intuendo la grandezza della pittura olandese dell’Ottocento, viene colto da quel vago malore che è il sintomo della più ben nota Sindrome di Stendhal.
Come si può negare che le otto opere appartenenti a Vermeer non siano l’esempio, tra i più perfetti, di come debba essere trattata la luce in una tela…
Come ignorare il rapporto esatto dei colori, il rigore formale con cui vengono accostati e stesi fino a creare quell’equilibrio perfetto che balza fuori come uno starnuto?
Come non vedere che il lavoro di tutti quegli artisti racchiude una pittura che è apologia del silenzio, capace di stabilire un rapporto interiore con le cose?
Eppure, una di quelle tele è stata, per me, un vero sparo in petto. E non appartiene al grande Vermeer, per il quale, invece, ho intrapreso il viaggio fino a Roma.
Inutile negare lo sconcerto nell’ammirare il raffronto tra il ritratto di “Santa Prassede”, santa romana del secondo secolo che si occupava dei martiri della causa cristiana, effettuato dal grande Maestro e quello eseguito da Felice Ficherelli, artista fiorentino  della metà del diciassettesimo secolo.
La differenza è troppa perché possa sfuggire anche all’incauto turista di passaggio.
Si tratta della “copiatura”  di un quadro della grande scuola fiorentina da parte di Vermeer, artista  che viaggiava poco e che rimase  per tutta la vita fuori dai circuiti convenzionali della committenza, fin quasi a cadere nell’oblio da cui  riemerse negli ultimi anni dell’Ottocento, per volontà di un critico francese.
Chiaro che il senso della proporzione di quel corpo, il colore commovente della veste rosso vermiglio perfettamente riprodotta, o il bianco trasparente del lino che l’avvolge, lascino senza fiato; come il color porcellana della pelle della Signora con cappello rosso  il cui volto sembra colpito da una  luce improvvisa, restituendo un’ espressione che sembra fugace e sopresa.
Ciò premesso,  il fiato si è mozzato di fronte a Astronomo al lume di candela, di Gerrit Dou, artista fiammingo che fu apprendista nello studio di Vermeer.
In questa piccola, raffinatissima tela Dou rappresenta uno studioso circondato dagli strumenti utili ad un astronomo.
Il ritratto sembra risentire del clima di fervore scientifico che  allora si concentrava sulle discipline dell’ottica e della cartografia, e il suo stesso tratto non sembra specchio fedele del visibile, ma il risultato di strati di colore e di luce che si sovrappongono per dare consistenza alle forme, in stretta analogia con le teorie della visione di Keplero.
E’ emozionante il forte contrasto tra il profondo buio della stanza, che sembra riprodurre il baratro della conoscenza, e la fiammata di luce che piomba sullo scienziato, il suo mappamondo, le sue carte geografiche, i suoi strumenti e il suo bisogno di sapere.
Emblematica rappresentazione di quella rivoluzione scientifica che stava per portare l’uomo lontano dalla sua ignoranza.
L’affanno claustrofobico  dell’ottusità in bilico con l’euforia illuminata della conoscenza.
Quel quadro sembra palpitare…
Lo scienziato non guarda le sue carte ma l’oscurità.
Allontana i suoi occhiali perché non ha bisogno di lenti.
Il futuro lo sente arrivare.
Strepitoso.
Perdono, Vermeer.