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Vice Presidente di Film Commission Torino Piemonte - Collaboratore in Staff Assessorato Attività Produttive, Commercio, Lavoro Città di Torino

La vera saggezza sta in colui che sa di non sapere

Nel corso del tempo il lavoro mi ha insegnato che sono infinite le cose che non sappiamo. Da lì, il mio impegno per l'informazione e la divulgazione è diventato "passione".


martedì 17 maggio 2011

Finalmente, pacata consapevolezza


A cosa serve serve essere italiani? La Lectio di Giovanni De Luna per spiegare la necessità di costruire una religione civile, le regole per farla nascere e gli errori storici da non ripetere.



IL XXIV Salone Internazionale del Libro, a Torino, è stato un successo, ma anche una kermesse di incontri dai toni accesi, quasi urlati, e di censure, qua e là, operate in favore del clima elettorale incombente.
Non nego di aver seguito le conferenze più “calde”, divertita dall’ironia più pungente, e sollevata dalla convinzione che le masse non siano più reattive, ma ben disposte alla riflessione dai toni un decibel più piccanti del peggior reality.
Ciò detto, però, non posso nascondere l’incanto della lectio magistralis tenuta da Giovanni De Luna sul grande interrogativo “A cosa serve essere italiani”.
Insegna Storia contemporanea presso la Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università di Torino e, da uomo di grande cultura, De Luna ha illustrato il percorso accidentato che gli italiani dovrebbero affrontare per costruire una “religione civile” in Italia, quella stessa che rappresentava il progetto del Risorgimento.
Un monologo dotto, sussurrato, intelligente e più efficace di una raffica di insulti o di una bordata di cattivo gusto, quello che oggi è linfa vitale del linguaggio corrente. A qualunque substrato culturale.
Il suo concetto di “religione civile” è uno spazio pubblico che legittimi lo Stato; si tratta di valori che riabilitino la sana competizione politica e lo stesso senso civico dei cittadini.
La sua accanita ricerca di una nuova religione civile ruota attorno ad un nodo mai risolto, e che troppo pesa nella storia del nostro Paese: l’incombente ruolo della Chiesa cattolica nei confronti dell’operato dello stato, e le complicazioni storiche che derivano dal collaborazionismo tra la religione e il fascismo (prima), e con la Democrazia Cristiana (dopo).
La figura del “Buon padre di famiglia” battezzata dal fascismo nel suo progetto di costruzione degli italiani, e la storica riforma agraria fortemente voluta dall’Italia di De Gasperi, per rafforzare la società contadina, rappresentano il prezzo che il paese ha pagato per la forte influenza del cattolicesimo sulla cultura.
De Luna spiega, dunque, che la continua commistione tra religione civile e dimensione religiosa in senso trascendentale, sia il grande limite della nostra società, frutto di una forte egemonia ecclesiastica .
In qualità di storico, ritiene che sia un errore pensare che senza cattolicesimo non si possa essere italiani.
L’insegnamento dello storico è quello di pensare ad una società liberale, completamente avulsa dalla Chiesa Cattolica, a differenza di quanto è accaduto finora. E’ quello di fornire al paese l’impronta della pedagogia politica, perchè cresca la disciplina che studia le teorie, i metodi e i problemi relativi all’educazione dei giovani.
De Luna si sofferma, poi, su un altro limite che ha impedito l’agevole costruzione di una religione civile: il trasformismo, che non sempre può essere disegnato come quello semplice di Scillipoti.
E’ il freno tirato da una precisa tecnica di governo che rappresenta un atto di profonda sfiducia nella capacità di governare del popolo, la diffidenza di apertura verso il basso.
Non poteva essere la tecnica fascista, che fondava la società sull’estrema ideologizzazione e sulla rigida appartenenza a ruoli sociali ben distinti e non comunicanti, a creare una religione civile. La mancanza di un dialogo con la passione degli italiani, ha segnato il suo fallimento storico.
Tanto meno la tecnica del Partito Comunista, troppo incentrata su una religione di apparato, poteva contribuire al progetto di costruzione.
Solo le forze laiche del Partito d’Azione di Pietro Calamandrei raccolsero l’intuizione dell’Illuminismo di formare una religione civile.
Ma su quali valori si può fondare oggi la religione civile, se anche il percorso della memoria condivisa della seconda Repubblica è fallita?
Qui Giovanni De Luna suggerisce una soluzione in cui crede, ma di cui intuisce la fragilità: la virtù della Mitezza, che non sia intesa come rassegnazione e sconfitta, ma come forza contrapposta all’arroganza del potere, e spesa a favore degli ideali di dialogo e tolleranza.
Il Professore ha usato un riferimento storico per descrivere lo stretto legame che può esistere tra la mitezza e la forza: i 12 professori che rifiutarono il giuramento di fedeltà al fascismo.
Per quel gesto eroico e di una forza straordinaria, usarono una frase mite che passò alla storia con l’efficacia di una lama nelle carni della dittatura: “Preferirei di no…..”
La Lectio di Giovanni De Luna nasce ispirata da una semplice domanda dei suoi allievi: “Professore, che ci guadagniamo ad essere italiani?”
Lui ha risposto con ardore e pacatezza.
Che bella lezione di vita, un racconto senza strepiti e pieno di vigore analitico…..